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Dalla Prefazione
“Non so a quanti padri sia capitato di scrivere l’introduzione al libro della figlia. Soprattutto tenendo conto che si tratta d’una bambina di dieci anni. Sento che dovrei esserne sorpreso. Sarebbe naturale, peraltro. Ma non è così. Mi sovviene quando, ancor prima di compiere un anno, Angela andava gattonando per il mio studio tra libri e riviste e si sedeva accanto a me stringendo tra le manine la sua “preda” cartacea. Poi la sfogliava con quell’indicibile, meravigliosa, espressione curiosa e concentrata. Avevano ragione i Greci: le colpe dei padri ricadono sui figli. E non solo le colpe.
Scuola di cani è un racconto in cui fantasia e spunti autobiografici – ebbene sì: anche a dieci anni si matura una coscienza autobiografica! – si fondono insieme in maniera semplice, immediata, divertente. Uomini-cani. Segno che l’animale mantiene intatta la sua funzione totemica in questo scorcio di XXI secolo. E i bambini ne percepiscono la “voce”, nonostante l’onnipresente ronzio dei tele-apparecchi. Per questo l’espressione “nativi-digitali” ha poco senso. Di nativo gli esseri umani hanno solo una naturale predisposizione alla conoscenza, una curiosità irrefrenabile, nonché la capacità di guardare la realtà per quella che è. Non vedono simboli astratti, segni di potere, non rimangono impigliati in schemi mentali, non soffrono ancora dell’idiotismo che c’affligge da adulti. Animali filosofici, insomma. La funzione della scuola – ci lavoro anch’io, pur occupandomi di “bambini grandi” – dovrebbe essere proprio questa: aiutare gli esseri umani ad affinare le loro capacità istintive di sentire, vedere, ascoltare, dialogare, provare, sperimentare, assecondandoli. O, quanto meno, permetter loro di non smarrirle fra le pieghe di esistenze sempre più alienate e disfunzionali. Tutto il resto poi verrà da sé: una strada nella vita la si trova, se si è attrezzati a camminare. Ma di questo – senza bisogno di scomodare Jean-Jacques Rousseau o Maria Montessori – ci dimentichiamo quasi sempre, idioti militanti.
Le vicende del cagnolino Popi ci rappresentano proprio questo scenario, senza infingimenti: emozioni in presa diretta, difficoltà relazionali da superare, capacità di adattamento, creatività, e un buon nocciolo di senso critico. Nonostante le maestre “cattive” – a dieci anni i giudizi etici sono ancora ben polarizzati: la cataratta del “grigio” è ancora ben lungi dall’appannarci la vista – il nostro simpatico protagonista impara un sacco di cose e alla fine “vince” una scuola migliore. A proposito: Popi è davvero così come lo racconta e lo ritrae Angela. E anche i suoi amichetti. Se non vuoi esser addentato, tu che leggi, dovrai scegliere da che parte stare. Bau!”
Francesco Dipalo
Bracciano 15 marzo 2014